LE CHIESE
LA CATTEDRALE
Nel 1232 l’imperatore Federico II di Svevia ne ordinò la costruzione, dedicandola all’Assunta. La rese chiesa palatina, dipendente direttamente da lui. A tre navate, in stile romanico, nel 1316 crollò quasi del tutto a causa di un terremoto. Re Roberto d’Angiò la fece ricostruire da maestranze bitontine con una nuova entrata e un portale scolpito che è attualmente tra i più belli di Puglia. La cattedrale fu ampliata nel XVI secolo, fu creato il presbiterio e il coro. Con l’arciprete Salazar (1550-1557) fu eretto il secondo campanile e furono inseriti sulla facciata tre grandi stemmi araldici. I due campanili furono sopraelevati nel 1729. Poco più tardi fu inserita la loggetta tra le due torri campanarie, con le statue in mazzaro della Madonna dell’Assunta e dei santi Pietro e Paolo. L’interno della fabbrica è a tre navate, divise da colonne. Nella parte superiore si ammirano i matronei con splendide trifore, molto probabilmente di età sveva. Nel XIX secolo l’interno della cattedrale fu interamente decorato in falso tardo-gotico per volere di monsignor Giandomenico Falconi (1848-1862). Il Portale E’ un capolavoro assoluto di scultura in pietra, risalente al XVI secolo, in stile tardo romanico. L’arco a sesto acuto contiene diverse formelle a bassorilievo che raccontano il grande ciclo narrativo della vita di Gesù. Di estrema rilevanza artistica, il portale merita da solo una visita a sè. Le colonne esterne poggiano su due leoni realizzati da mastro Antonio da Andria, nel 1533. Le colonne interne, invece, poggiano su due figure umane (XIII secolo): un atlante inginocchiato e un atlante seduto.
I matronei Rappresentano una straordinaria testimonianza della originaria struttura federiciana della cattedrale. A breve inizieranno i lavori di riqualificazione di questi spazi che saranno adibiti a Museo Diocesano.
La porta angioina Posta sul lato destro dell’edificio, fu fatta realizzare da re Roberto d’Angiò (XIV secolo). L’iscrizione latina posta nella parte superiore recita: Regia Cappella sono. Nessuno mi faccia guerra. Io Roberto, protetto dal re dei cieli, la proteggo. Porta del cielo sono e duce dei pii, che osservano i sacri dogmi dei miei dottori. Di interesse sono lo stemma angioino e il bassorilievo di San Michele Arcangelo nell’atto di uccidere il drago.
La torre dell’orologio Posta sul fianco, in fondo alla piazza, in stile gotico, fu costruita nel 1858 su disegno dell’architetto Corradino de Iudicibus.
Interno L’interno, a tre navate e a pianta basilicale, ha subito dei rimaneggiamenti nel corso dei secoli, in specie a seguito dei restauri voluti dall’arciprete Giandomenico Falconi, che hanno interessato la fabbrica tra il 1854 e il 1660. Difatti per chi entra, la chiesa si presenta riccamente decorata con marmi e decorazione a trompe l’oeil in stile neogotico, ad esclusione dei capitelli delle colonne nelle navate e delle trifore sui matronei, unici elementi originari duecenteschi. Oltre agli altari in marmo policromo sei-settecenteschi di scuola napoletana presenti in tutte le cappelle laterali, notevoli sono le opere pittoriche e scultoree che si conservano. Infatti nella prima cappella della navata sinistra è da menzionare il naturalistico Presepe in pietra policroma del 1587 attribuito alla bottega materana dei Persio.
Segue la cappella dell’Addolorata con le statue lignee del Cristo morto, realizzato da Giuseppe Nicola Altieri nella seconda metà del seicento, l’intesa e patetica Addolorata di Giacomo Colombo databile ai primi anni del settecento, e il Crocifisso ammanierato di inizio seicento; mentre nelle pareti laterali due tele ottocentesche di Giuseppe Maraschini raffiguranti a sinistra la Sacra Famiglia (copia da Raffaello) e a destra San Giovanni Evangelista (copia dal Domenichino). Nella terza cappella, in una nicchia, la raffinata e graziosa statua in pietra della Madonna di Costantinopoli del 1535, opera di Paolo da Cassano, ai lati invece due tele entrambe eseguite nel 1875, a sinistra con San Tommaso d’Aquino di Saverio Altamura, e a destra con Il profeta Elia di Camillo Miola. Entrando nella quarta cappella, alle pareti vi sono due dipinti eseguiti nel 1879 dal pittore Michele De Napoli, La morte di San Girolamo a sinistra, e il Battesimo di Sant’Agostino a destra; d’innanzi ci troviamo, poi, alla splendida e artificiosa macchina d’altare in marmo eseguita nella metà del XVIII secolo dal napoletano Crescenzo Trinchese, nella cui prospettiva è inserita la statua di San Giuseppe con Bambino, opera del 1654 riferita alla mano di qualche scultore gravitante nella bottega romana del Bernini; nelle nicchie laterali, invece, le due sculture lignee settecentesche raffiguranti i santi patroni della città, San Giuseppe con Bambino e Sant’Irene.
Nella quinta cappella trovasi nella parete di sinistra il dipinto di Giuseppe Boschetti (San Francesco di Sales, 1879), nella parete frontale l’opera di Francesco Lorusso (Sacro Cuore di Gesù, 1870), e in quella di destra il dipinto di Gustavo Nacciarone (San Vincenzo de’ Paoli, 1880). Proseguendo nella sesta cappella, scorgiamo al centro un frammento d’affresco raffigurante il Volto di Cristo, datato intorno alla fine del XIV, ultima testimonianza dell’antico apparato pittorico che un tempo doveva impreziosire l’intera cattedrale; di fianco invece L’angelo custode (1875) e la Presentazione di Maria al Tempio (1874), entrambe del neoclassicista Gustavo Mancinelli. Sul presbiterio, fa da quinta scenografica il coro con la teoria di santi rappresentati, un indiscutibile capolavoro finemente intagliato in legno di noce ed eseguito nel 1543 da Colantonio Bonafida, Teodoro Marzano e Candido di Fanello; sullo sfondo invece si staglia la tavola raffigurante l’Assunzione della Vergine, realizzata nel 1546 dal pittore toscano Leonardo da Pistoia. Lungo la navata centrale si dispiega in alto il soffitto ligneo, eseguito durante i restauri ottocenteschi, in cui si avvicendano gli stemmi degli imperatori e re dai quali, a partire da Federico II e fino ai Savoia, la Cattedrale Palatina di Altamura dipendeva direttamente. Inoltrandoci nella navata destra, partendo dal presbiterio, incontriamo la settima cappella, corredata nella parte di fondo dal dipinto degli apostoli San Giacomo e San Filippo, eseguito nel 1876 da Giuseppe Maraschini; di fianco a sinistra il San Bernardo di Pasquale De Criscito del 1877 e a destra Le tentazioni di Sant’Antonio abate di Francesco Sagliano del 1877.
Nell’ottava cappella, nelle pareti di sinistra e del centro, vi sono due dipinti di Francesco Lorusso raffiguranti Santa Barbara (1877) e la Famiglia di Maria (1868); nella parete destra invece Il martirio di San Massimo eseguito da Francesco Plantamura nel 1868. Di seguito la cappella di Sant’Irene con il dipinto eponimo del 1863 di Francesco Lorusso, mentre nelle nicchie ai lati si conservano le spoglie di San Massimo e Sant’Aurelio.
La decima cappella, invece, accoglie due tra i dipinti più significativi della pittura ottocentesca prodotta nell’Italia meridionale, a sinistra la Maddalena realizzata nel 1877 dal pugliese Francesco Netti e a destra la Conversione di San Paolo di Domenico Morelli che la portò a termine nel 1876. Nell’undicesima cappella sono allocate tre opere di Giuseppe Maraschini, a sinistra lo Sposalizio della Vergine del 1875 (copia da Raffaello), al centro Il Battesimo di Gesù del 1873 (copia da Alessandro Allori), e a destra la Trasfigurazione del 1875 (copia da Raffaello).
Proseguendo vi è l’ultima cappella di Santa Rosalia, la cui immagine è rappresentata nella scultura lignea seicentesca lì presente, mentre di fianco il Sant’Andrea Avellino di ignoto pittore meridionale e l’Apparizione di Cristo a San Francesco d’Assisi e San Filippo Neri da ricondurre alla mano del molfettese Nicola Porta e databile intorno al 1750.
Addossato alla parte nella controfacciata, infine, è situato l’antico ambone cinquecentesco in pietra, di ignoto scultore pugliese, sorretto da cinque esili colonne finemente decorati e costituito da altrettanti pannelli su cui sono scolpiti in rilievo le storie della vita di Cristo.
SAN NICOLA DEI GRECI
Fu costruita nello stesso periodo della Cattedrale federiciana per soddisfare le esigenze di culto dell’antica comunità greco-ortodossa stanziatasi alla fondazione della città. A navata unica con una facciata lineare con tetto a capanna e un rosone (ricostruito in epoca recente). Il bel portale fu arricchito nel 1576 dalle sculture a bassorilievo di Nicola de Gessa che raffigurano scene dell’antico e nuovo Testamento. Di particolare interesse, all’interno, è la rappresentazione statuaria di San Nicola di Mira, in sembianze orientali: volto scuro, mano benedicente “alla greca”. Nell’altra nicchia si può ammirare la bella statua della Madonna della Salette. Di notevole rilevanza sono anche le tele seicentesche e il battistero d’età sveva. Spicca lo straordinario soffitto di legno dipinto, con al centro un grande quadro raffigurante San Nicola.
SAN BIAGIO
È posta a fianco Della chiesa di San Nicola dei Greci, su corso Federico II. Di antica origine ipogea, fu eretta nel 1628. Fu sede sin dall’inizio della Confraternita dei Calzolai di San Crispino. Possiede una semplice facciata, sormontata dalla statua di san Biagio. Non passa inosservato il grandissimo affresco posto sul lato sinistro che rappresenta San Cristoforo che traghetta Gesù bambino, opera dell’artista locale Maramonte. Originariamente di rito greco, come la vicina San Nicola, presenta una pianta quadrata con volta a stella. Interessanti le decorazioni a pittura su legno della porta interna e del ballatoio dell’organo.
SAN MICHELE AL CORSO
Fu edificata dalla potente confraternita del Purgatorio nel XVII secolo, dedicata appunto alle anime del Purgatorio. Ha una semplice facciata su cui spicca un finestrone rettangolare. La torre campanaria contiene due campane ottocentesche, quella a destra (1892) più piccola, quella a sinistra (1839) più grande. L’interno conserva pregevoli tele settecentesche e ottocentesche, tra le quali la Madonna del Purgatorio di Francesco Guarini, il maggiore pittore gravinese del Seicento. L’altare maggiore e il presbiterio sono dei capolavori del rococò. Stupendo anche l’organo ottocentesco dell’altamurano Tommaso Capitelli.
SAN GIACOMO
Fu eretta molto probabilmente agli inizi del XVI secolo dalla famiglia Giannelli. L’attuale facciata, in stile rococò, fu realizzata nel 1754. Il grazioso campanile a vela è sormontato da una cuspide a bulbo. L’interno, molto semplice, è composto da una sola navata. Interessante l’acquasantiera in pietra con croce a rilievo risalente al XV secolo. Nella nicchia alle spalle dell’altare è posta una grande statua in pietra, raffigurante San Giacomo, opera della seconda metà del XVI secolo. Sulla parete destra campeggia una grande tela, realizzata nel Seicento. Degna di nota anche una tela raffigurante la Madonna (XVI secolo) e un reliquario in legno, contenente ossa e fiori (XVIII secolo).
SAN FRANCESCO DA PAOLA
Recentemente riportata all’antico splendore grazie ad un accurato restauro, fu edificata nel 1582 e ristrutturata nel Settecento. Possiede una facciata semplice, ma contiene al suo interno gioielli di grande valore storico e artistico. I suoi campanili sono gli unici a poter fare a gara con quelli della cattedrale. L’interno è a pianta esagonale, si possono subito ammirare le splendide finestre degli antichi matronei, realizzate da graticci esagonali completamente in legno. Nelle cappelle laterali troneggiano due macchine d’altare in legno nelle quali spiccano due statue: quella di San Francesco da Paola e quella di Sant’Anna e la Madonna, realizzate interamente in legno dallo scultore Niccolò Altieri, finissimo artista rivalutato di recente. L’altare maggiore è imponente, probabile opera del Trinchese, notevole è la tela con la vestizione di Santa Chiara, opera di Andrea Miglionico.
SANTISSIMA TRINITA’
Risale con molta probabilità al XV secolo. È sede di una antica e prestigiosa confraternita. La facciata, frutto di un recente rifacimento, conserva sul lato destro la cosiddetta “croce del pellegrino”, chiamata così perché era baciata da tutti i pellegrini di passaggio e che alloggiavano nell’Ospedale adiacente. Il bel campanile risale al XVIII secolo ed è sormontato da una cupoletta a cipolla. L’interno conserva l’impostazione cinquecentesca; di notevole interesse è una tela raffigurante la SS. Trinità (XVII secolo) di autore ignoto; sullo splendido altare maggiore (XVIII secolo), invece, campeggia una grande tela del Cinquecento che rappresenta la Trinità, opera di Pietro Antonio De Simone di Laterza.
SAN DOMENICO
Adiacente all’ex convento dei Domenicani, corrispondente all’attuale Liceo Classico “Cagnazzi” e, a piano terra, agli ambienti dell’Archivio Biblioteca Museo Civico, la chiesa di San Domenico fu eretta nel 1716. La facciata è realizzata in tufo ed è completata, in alto, dalla incantevole cupola, a pianta ottagonale, rivestita di lucenti piastrelle maiolicate, che raggiunge oltre 37 metri di altezza. Il campanile, incompleto nella parte superiore, presenta due piani di finestre. La seconda cappella a sinistra, chiusa da una balaustra marmorea, è dedicata alla Confraternita del SS. Rosario e contiene l’altare più sfarzoso e pregiato della chiesa, nella cui prospettiva è incastonata la grande tela di Giuseppe Porta (1748), raffigurante la Madonna del Rosario con San Domenico, Santa Caterina e Santa Rosa. La seconda cappella a destra (di San Tommaso d’Aquino) ospita una lastra tombale della famiglia Viti. Al centro del presbiterio troneggia il sontuoso altare maggiore, ricco di marmi policromi e magnifiche sculture, alle cui spalle si trova il coro ligneo, opera di un artigiano locale (1855). Sulla parete di fondo è collocata la pregevole tela della Sacra Famiglia (prima metà XVII secolo), attribuita al pittore Massimo Stanzione.
SANTA TERESA
Edificata nella prima metà del XVII secolo e distinta dall’annesso monastero, oggi sede del Museo Etnografico, era legata al culto della Madonna del Carmelo. La facciata, realizzata in pietra naturale, fu completata negli ultimi anni del Seicento in stile tardo rinascimentale. Il campanile, a pianta quadrata, risale al Settecento, mentre la bella cupola, anch’essa settecentesca, è realizzata in tufo con elementi decorativi in mazzaro. L’interno della chiesa, a croce latina, presenta un’ampia navata centrale con due cappelle per lato. La prima cappella a destra (del Carmine), presenta una bella balaustra e un altare in marmo policromo. Rilevante, nel tabernacolo, la portella originale in bronzo dorato e sull’altare una tela raffigurante la Madonna del Carmine, risalente al XVIII secolo. Sul lato sinistro spicca la lastra tombale della contessa Geronima Viti (1742). La seconda cappella a destra (del Sacro Cuore) presenta un altare in marmo simile a quello della cappella precedente. Degna di nota è la statua in legno raffigurante Sant’Antonio da Padova, opera di scuola napoletana della fine del Seicento. Di fronte è presente una statua ottocentesca in legno raffigurante l’Immacolata. Nella seconda cappella a sinistra (di Santa Teresa) è possibile ammirare una statua di San Francesco d’Assisi, probabile opera dell’artista locale Giuseppe Nicola Altieri, risalente al XVII secolo. La cappella di San Giovanni della Croce, la prima a sinistra, offre, sulla parete sopra all’altare, la tela raffigurante San Giovanni della Croce, risalente alla prima metà del XVIII secolo. Notevole è la lastra marmorea (1746) che riporta lo stemma coronato delle famiglie Filo e Colonna. Sulle pareti di fondo del transetto campeggiano due tele settecentesche, una raffigurante la Sacra Famiglia (metà del XVIII secolo) e l’altra l’Estasi di Santa Teresa (prima metà del XVIII secolo).
SANTA CHIARA
Fu terminata, nella sua prima fase costruttiva, nel 1679, anno in cui fu completata la costruzione della stessa, con annesso monastero, che ospitò poi le prime monache a partire dal 1682. La facciata, caratterizzata da una compatta muratura di conci ben squadrati, fu completata nel 1705-1706: un cornicione aggettante la divide in due ordini, e tre nicchie con le statue di San Francesco, a sinistra, l’Immacolata, al centro, e Santa Chiara, a destra, ne determinano il movimento. Il campanile barocco, che s’innalza sul lato destro della chiesa, fu ricostruito tra 1722 e 1723. L’interno, a una navata, presenta lateralmente degli altari, realizzati in forme semplici, ma abbelliti con dipinti di ignoti pittori del Settecento. Sul secondo pilastro a destra è collocato il pulpito ligneo, con fitta decorazione a volute fogliacee, intagliate e dorate, e con una grande aquila aperta intagliata nella base e terminante con un elegante baldacchino; si tratta presumibilmente di opera di maestranze lucane. L’area presbiteriale è arricchita da un altare in marmo bianco e policromo, elevato su tre gradini, al di sopra del quale è posizionata la tela dell’Immacolata e i Santi Francesco, Chiara e Antonio (prima metà del XVIII secolo). Il complesso religioso, fondato in seguito al lascito testamentario di un sacerdote altamurano, Jacobutio de Cobutiis, che nel 1519 donò numerosi beni col desiderio che fosse costruito un monastero di clarisse, accoglie ancora oggi una comunità dell’ordine di Santa Chiara, occupando un intero isolato nel cuore del centro antico della città.
SAN LIBERATORE
Attualmente sconsacrata ed in completo stato di abbandono, sorge di lato all’arco seicentesco denominato della “Porticella. Dedicata anticamente a Santa Maria della Porta, alle sue spalle sono ancora visibili i resti di un bastione delle mura medievali della città, leggermente degradante a scarpata, secondo la tipologia delle costruzioni difensive, tipiche del XV secolo. La chiesetta di S. Liberatore si rivela nei suoi caratteri architettonici molto semplici: una cappella dalla forma a dado, la cui facciata presenta un modesto portale sormontato da una lunetta superiore a falsa ghiera, sulla quale si innesta il tamburo della cupola circolare, tipico dell’architettura bizantina. Sull’architrave vi è un’iscrizione in lingua latina che ricorda la sua costruzione avvenuta nell’anno 1527, alla fine della terribile pestilenza che colpì i cittadini altamurani, e che riporta l’antico e mitico nome della città: Altilia. Sugli stipiti, invece, sono incisi, a caratteri greci, due termini che indicano liberazione (Latoirosis) e Salvatore (Chp). Nell’ampio sepolcreto sottostante all’edificio e nel bastione della muraglia retrostante, vennero seppellite le numerose vittime della peste (le fonti parlano di oltre 3.000 appestati morti in quel periodo). Nei documenti la chiesetta è ricordata col nome di San Liberatore e di San Salvatore, e risulta ancora officiata nel 1751, data in seguito alla quale fu chiusa al culto e trasformata in abitazione civile.
SANTA MARIA DELLA VITTORIA (CAPPELLA CASTELLI)
La piccola chiesa cinquecentesca rappresenta la cappella privata di Palazzo Castelli, ad essa adiacente. Reca sulla facciata lo stemma della famiglia.
MADONNA DELLA CROCE
La piccola cappella della Madonna della Croce, è situata a nord al di fuori del centro storico, posizionata lungo una via di devozione e pellegrinaggio che un tempo, partendo dal antico castello normanno non più esistente, raggiungeva la contigua chiesa rupestre di San Michele delle Grotte. L’impianto attuale della costruzione palesa caratteri cinquecenteschi, anche se la data 1298, leggibile nella parte bassa dell’affresco sull’altare maggiore, porrebbe la sua attestazione già sul finire del XIII secolo. Il prospetto esterno ha una struttura semplice, con tetto a capanna e cadenzato da due corpi di fabbrica dalle differenti volumetrie. La facciata, delimitata da pilastri angolari, presenta una lunetta in cui svetta lo stemma dell’arciprete Baldassare de Lerma, lì posto nel 1709. L’interno è a croce greca ed è scandito da quattro pilastri centrali che sorreggono una cupola seicentesca. Su uno di essi, lungo la parete sinistra, si conserva ancora una frammento d’affresco raffigurante la Madonna con Bambino, facente parte del ciclo pittorico cinquecentesco che un tempo doveva decorare l’intera fabbrica. Nella cappella di sinistra, invece, è possibile ammirare l’altare in mazzaro commissionato nel 1740 dalla famiglia Filo allo scultore Eugenio Giulio da Giovinazzo, mentre sulle pareti laterali vi sono i dipinti di San Gaetano da Thiene e di Sant’Andrea Avellino, databili intorno alla metà del XVIII secolo. Specularmente, anche la cappella di destra è adornata da un altare settecentesco in mazzaro, opera dello stesso lapicida pugliese e sulla parete di destra è collocata la tela settecentesca di San Trifone inginocchiato tra i vescovi Marcello, Libero e Lucio. Sul presbiterio, infine, fa da sfondo l’altare della Madonna della Croce, eseguito nel 1739, e adornato dalla sfarzosa prospettiva in legno dorato che incornicia, al centro, l’antica effigie ad affresco della Madonna con Bambino.
SAN LORENZO
La chiesa di San Lorenzo è situata a est, al di fuori del centro storico e nei pressi dell’antica porta dei Foggiali (da fogge: cisterne sotterranee un tempo adibite alla raccolta e deposito cerealicolo). Le fonti documentarie attestano la presenza della chiesa già a partire dal 1330, annoverandola così tra le chiese più longeve di Altamura. Tuttavia, dell’antica costruzione poco si conserva, fatta eccezione dell’iscrizione dedicatoria visibile sull’architrave d’ingresso, i cui caratteri gotici e il giglio angioino lì descritto, hanno permesso di datarla intorno alla prima metà del XIV secolo. I rifacimenti settecenteschi hanno stravolto completamente l’originaria costruzione. Difatti la facciata, dai caratteri barocchi, si presenta impreziosita da una cornice mistilinea, costeggiata lateralmente da due pilastri e sormontata da un tiburio ottagonale. L’interno, a pianta centrale, ospita ciò che rimane dell’antico arredo liturgico, di cui è possibile ammirare sull’altare maggiore un Crocifisso ligneo del XVII secolo e nella nicchia della parete laterale destra un manichino vestito raffigurante San Lorenzo, opera di ignoto scultore pugliese del XVIII secolo. È da menzionare inoltre che la chiesa conservava, fino al secolo scorso, una scultura raffigurante l’Ecce Homo, la cui esecuzione è da circoscrivere alla mano dell’andriese Francesco Paolo Antolini e databile alla prima metà del XVIII secolo. La presenza di tale effigie è da giustificare con il culto ad Altamura della processione dei misteri che durante il venerdì di Quaresima si snodava lungo le cappelle della Via Crucis e il cui svolgimento prendeva le mosse proprio dalla chiesa di San Lorenzo.
SANTA MARIA DELLA CONSOLAZIONE
La chiesa di Santa Maria della Consolazione si trova a sud del centro storico, nei pressi di Porta Matera, nella zona un tempo denominata “piana di San Marco”, ora Piazza Zanardelli. L’attuale edificio, costruito nel 1921 in stile neoromanico, sorge sulle antiche spoglie della chiesa seicentesca di San Vito, fondata nei primi anni del XVII secolo per volere del Capitolo Cattedrale. Esternamente si presenta oggi suddivisa in tre sezioni scandite da pilastri, cadenzato da bifore lungo tutto il perimetro e sormontata nella parte posteriore da un campanile a doppio ordine. L’interno, a tre navate, conserva il robusto impianto seicentesco dell’antica fabbrica, con pilastri e volute a crociera e al cui centro trova posto un cappellone aggiunto nel 1950. La chiesa conta di un apparato decorativo di elevata qualità, ritenuto tra le più interessanti nel panorama artistico pugliese. Infatti nella parete di fondo dell’altare maggiore è possibile ammirare la tela raffigurante la Madonna della Consolazione, opera eseguita nel 1635 dal pittore materano Giovanni Oppido, racchiusa dalla preziosa cornice seicentesca in legno dorato, frutto dell’intagliatore altamurano Ricuccio Papa. Nella prima campata, lungo la navata sinistra è posta la gran tela raffigurante l’apostolo San Matteo, databile tra il 1699 e il 1701, il cui notevole pregio compositivo e coloristico rivelano la mano di un valente maestro appartenente alla cultura veneta. A seguire sull’altare di San Vito, costruito nel 1865, vi è la statua in marmo del santo eponimo, datata intorno ai primi anni del seicento e attribuita a Michelangelo Naccherino, scultore fiorentino promotore di un rinnovamento artistico controriformato in tutto il Regno di Napoli. Nell’ultima campata infine campeggia la tela di Santa Maria di Costantinopoli tra Sant’Antonio e San Leonardo, eseguita sul finire del cinquecento da Francesco Curia, e ingentilita da una cornice lignea finemente intagliata e dorata.
SANT'AGOSTINO
La chiesa di Sant’Agostino è situata al di fuori dell’antica cinta muraria della città. Essa sorge sulla diruta cappella di San Bartolomeo, concessa nel corso del XVI secolo dalla città ai padri agostiniani. Questi, come ci ricorda la data 1570 e lo stemma cittadino posti sull’architrave d’ingresso, costruirono una nuova chiesa, inizialmente intitolata a Santa Maria del Popolo, e l’annesso monastero. A seguito delle leggi napoleoniche e con l’Unità d’Italia il convento cessò d’esistere e venne trasformato in mattatoio comunale. La facciata si presenta incompleta e pur conservando l’antico portale cinquecentesco, rivela tuttavia nel disegno architettonico stilemi barocchi, frutto dei rifacimenti settecenteschi, in particolar modo nei pilastri compositi con capitelli corinzi e nel profondo finestrone alla cui base poggia un motivo decorativo a conchiglia. L’interno, a croce greca, conserva diverse lapidi sepolcrali di famiglie nobili altamurane legate all’ordine agostiniano. La chiesa è riccamente adornata da altari settecenteschi in marmo policromo di scuola napoletana, come quelli posti lateralmente all’ingresso, inquadrati da alzate in stucco che fanno da cornice ai dipinti del XVIII secolo raffiguranti San Nicola da Tolentino, in quello di destra, e la Madonna della Provvidenza, in quello di sinistra. Di seguito, vi è la cappella di Santa Maria della Sanità fatta erigere dalla famiglia Filo, i cui stemmi sono ben visibili sia sul pavimento in maiolica eseguito da maestranze napoletane nel 1750, sia ai lati dell’altare marmoreo che conserva al centro dell’alzata. in stucco policromo, l’antica effige seicentesca. Nella cappella di destra invece è collocato un dipinto seicentesco, caratterizzata da stilemi riformati, raffigurante la Vergine e Sant’Anna che presentano Gesù Bambino a Sant’Agostino. Sull’altare maggiore, infine, trova posto, in alto al centro, la tela settecentesca raffigurante Sant’Agostino che versa l’acqua della Sapienza a Santi e Padri della Chiesa, mentre nella nicchia a sinistra trovasi la statua in pietra policroma di San Paolo eseguita da maestranze pugliesi nel 1633.
SAN MICHELE DELLE GROTTE
È un insediamento rupestre situato a nord, al di fuori del centro storico. Anticamente conosciuto come “Sant’Angelo della Rizza”, è uno degli ambienti ipogei più interessanti della città, per via dell’impianto strutturale e per le pitture parietali esistenti. La sua costruzione risale con ogni probabilità al X secolo, sorto come fondazione eremitica dei monaci di San Basilio, la cui presenza sul territorio altamurano è attestata in numerose chiese rupestri (vedi le cripte di Iesce, San Giorgio, Fornello). La facciata in muratura presenta, al disopra del portale d’ingresso, un’edicola cinquecentesca decorata con capitelli corinzi, in cui è conservata la statua in pietra di San Michele Arcangelo, opera, dalla chiara impostazione tardo-rinascimentale, eseguita sul finire del XVI secolo. L’interno, interamente scavato nel tufo, è costituito da volte basse, sostenute da cinque pilastri che suddividono la chiesa in quattro navate, ed è abbellito da un pavimento maiolicato eseguito a Laterza nel 1690. Pur presentandosi in origine interamente dipinta, la cripta conserva ancora affreschi degni di nota, tra cui, sul primo pilastro a sinistra, l’immagine a mezzo busto di Santa Lucia i cui caratteri stilistici predominanti la riconducono al XIV secolo, e, nella colonna successiva, il coevo San Nicola dei Greci, dalla testa nimbata, con il volto ieratico e la posa benedicente. Sul fondale della prima navata destra trovasi un’acquasantiera incassata a muro, incorniciata con decorazioni a racemi settecenteschi e sormontata da un cartiglio, la cui iscrizione rammenta il legame un tempo esistente con il santuario michaelico del Gargano. La seconda navata destra termina con l’altare barocco in pietra policroma dedicato al santo eponimo della chiesa, la cui effigie seicentesca tra i Santi Leonardo e Lorenzo è ben visibile nel registro in alto. Lungo le pareti laterali trovano posto, invece, le immagini di Tobia e l’Angelo Gabriele a sinistra, e di San Dioniso l’Areopagita a destra, databili tra fine cinque e inizio seicento. Segue l’altare maggiore in tufo, il cui paliotto è sormontato centralmente da una croce radiata ed è fiancheggiato da ampie volute. Nell’abside sovrastante notevole è il dipinto con la Deesis, in cui predomina l’immagine di Cristo benedicente con ai lati la Vergine e San Giovanni Battista, eseguito da anonimo frescante nei primi decenni del 1300. Infine, la prima navata sinistra termina anch’essa con un pregevole altare barocco in pietra, nella cui alzata prospettica era posta la statua di Santa Lucia, ora conservata presso il museo dell’A.B.M.C.
MADONNA DEI MARTIRI
Edificata nella seconda metà del XIII secolo, costituisce una della tante chiese di rito greco presenti nella città, e rimase tale fino alla fine del Cinquecento. Affacciata, come la piccola chiesa di San Liberatore, sull’omonima piazza, subì notevoli rimaneggiamenti nel XVIII secolo: in primis, il rifacimento dell’intera facciata in stile rococò. Entrandovi, sulla parete di fondo, si trovano l’altare maggiore, decorato con un altorilievo raffigurante la colomba dello Spirito Santo e due cornici laterali in stucco, di forma ovale, in cui furono collocati i dipinti di San Biagio e San Francesco Saverio (XVIII secolo) , e l’immagine affrescata della Madonna col Bambino, risalente, invece, al XVI secolo. Tra le altre opere, degne di menzione sono: la tela della Madonna dei Martiri di Niccolò Maramonte del 1799, quella di San Francesco Saverio (XIX secolo), un affresco cinquecentesco con Gesù Crocifisso tra San Biagio e Sant’Antonio da Padova, un’acquasantiera duecentesca in pietra ed una in marmo policromo che riproduce le armi gentilizie dei Viti e dei Santoro (XVIII secolo) di Altamura.
MONUMENTI E LUOGHI DI INTERESSE
MURA MEGALITICHE
Testimonianza del tipo di fortificazione di età classica (V-IV sec. a.C.), diffuso anche in altri centri della Peucezia, le mura megalitiche di Altamura si presentano come un doppio circuito: una cinta interna, più piccola, che racchiudeva l’acropoli, con un sviluppo di circa 1500 metri, ed una esterna, più ampia, che si estendeva per 3600 metri. Da intendersi come opera resa necessaria dalla particolare situazione in cui venne a trovarsi la gente indigena di tutta la Peucezia di fronte alle mire espansionistiche di Taranto e dei vicini centri lucani e sannitici, le mura megalitiche rivestono grande importanza dal punto di vista civile e militare. La tecnica costruttiva utilizzata prevedeva l’impiego di grossi blocchi (il termine “megalitiche” deriva, infatti, dal greco: mega, grande, e lithos, pietra), non sbozzati, disposti ad incastro tra loro, quindi assestati a secco. Le mura avevano una larghezza di 5,5 metri e un’altezza di oltre 4 metri. Il muro è costituito da due paramenti, uno esterno e l’altro interno, nella cui parte centrale, l’emplecton, si trova un composto di terra e pietrame. Nella cinta muraria dovevano aprirsi varie porte in corrispondenza delle vie di collegamento con i centri vicini; l’unica oggi conservata è porta Alba o Aurea, a cui è affiancata, all’interno, una torre a pianta trapezoidale. In corrispondenza di questa porta è stata rinvenuta una vera e propria necropoli con tombe a fossa e controfossa, databili – secondo i corredi tombali venuti alla luce nella campagna di scavo del Ponzetti (metà XX secolo)- al VI-V secolo a.C., quindi preesistente rispetto all’erezione della cinta stessa. La parte attualmente conservata dell’intero circuito murario, quindi ancora visibile, è di 1800 metri circa.
TEATRO MERCADANTE
Costruito nel 1895 a cento anni dalla nascita del musicista Saverio Mercadante. Completato in soli sette mesi su progetto dell’ingegnere altamurano Vincenzo Striccoli, è stato recentemente restaurato grazie all’intervento della Teatro Mercadante srl che l’ha riportato all’antico splendore. L’ingresso principale del teatro, su piazza Saverio Mercadante, immette nel vestibolo che ospita il busto del musicista altamurano realizzato nel 1844 dallo scultore Angelini. Oltre il corridoio di sfogo si accede alla platea, a ferro di cavallo, dotata allora di 190 posti. Sopra questa prima fila ci sono altri due ordini di palchi ed il loggione (la “piccionaia”). Complessivamente la sala conta 60 palchi: 18 in prima fila, 21 in seconda e terza fila. Il loggione, ad anfiteatro, aveva una capienza di circa 300 posti. La decorazione delle mensole dei palchi del 2° e 3° ordine e del parapetto del loggione, con festoni e mascheroni, fu affidata al pittore altamurano Pasquale Rossi, il quale, come l’ing. Striccoli, prestò gratuitamente la propria opera. Il palcoscenico misura m 9,50×10 ed ha un proscenio di 3 m. L’arcoscenico è sovrastato da un medaglione con il ritratto di Mercadante dipinto da Pasquale Rossi (allievo dell’altamurano Francesco Lorusso e, prima, del napoletano Domenico Morelli). Il sipario, realizzato nel 1856 da Montavano (raffigurante Federico II di Svevia che assiste ai lavori per la costruzione della Cattedrale di Altamura), risultava piccolo rispetto alle dimensioni del boccascena del nuovo teatro, così Rossi dipinse in aggiunta, sulla destra, un gruppo di armigeri.
SANTUARIO DI MARIA SS DEL BUONCAMMINO
L’origine della devozione degli altamurani per la Madonna del Buoncammino si perde nella leggenda. Si racconta che un contadino si smarrì mentre raccoglieva verdura selvatica. Nell’oscurità, preso dall’angoscia, si rifugiò in una grotta e qui gli apparve una luce vivissima che muovendosi gli indicò la strada del ritorno. Il mattino dopo tornò alla grotta con la sua famiglia e alcuni conoscenti. Insieme a loro, sotto macerie e sassi, rimossa una grossa lastra di pietra, trovò un’immagine della Madonna con Gesù Bambino in braccio, dipinta sulla roccia. La grotta divenne un luogo di culto dove i viandanti si fermavano a pregare invocando la Madonna prima di intraprendere un viaggio. Per questo all’immagine fu dato il nome di “Madonna del Buoncammino”. Visto il gran numero di persone che si fermavano a pregare anche accendendo ceri votivi all’andata e al ritorno, per rendere più agevole l’accesso all’immagine, il blocco di pietra sul quale era dipinta fu estratto dalla grotta e collocato in un’edicola costruita appositamente a poca distanza, sulla via che portava a Bari.
Nel 1747 fu costruita una piccola cappella a forma di croce greca e successivamente, nel 1844, vi affiancò una più grande con la volta a botte e dotata di organo e arredi sacri. Intorno al 1950 il rettore Don Paolo Colonna dotò la cappella di un abside e costruì una sacrestia. L’11 settembre di quell’anno la cappella venne dichiarata santuario con decreto prelatizio di Sua Eccellenza Salvatore Rotolo, Vescovo di Nazanzio.
SAN MICHELE DELLE GROTTE
È un insediamento rupestre situato a nord, al di fuori del centro storico e attualmente inglobato nel tessuto urbano. Anticamente conosciuto come “Sant’Angelo della Rizza”, è uno degli ambienti ipogei più interessanti della città, per via dell’impianto strutturale e per le pitture parietali esistenti.
La sua costruzione risale con ogni probabilità al X secolo, sorto come fondazione eremitica dei monaci di San Basilio, la cui presenza sul territorio altamurano è attestata in numerose chiese rupestri (vedi le cripte di Iesce, San Giorgio, Fornello). La facciata in muratura presenta, al disopra del portale d’ingresso, un’edicola cinquecentesca decorata con capitelli corinzi, in cui è conservata la statua in pietra di San Michele Arcangelo, opera, dalla chiara impostazione tardo-rinascimentale, eseguita sul finire del XVI secolo. L’interno, interamente scavato nel tufo, è costituito da volte basse, sostenute da cinque pilastri che suddividono la chiesa in quattro navate, ed è abbellito da un pavimento maiolicato eseguito a Laterza nel 1690. Pur presentandosi in origine interamente dipinta, la cripta conserva ancora affreschi degni di nota, tra cui, sul primo pilastro a sinistra, l’immagine a mezzo busto di Santa Lucia i cui caratteri stilistici predominanti la riconducono al XIV secolo, e, nella colonna successiva, il coevo San Nicola dei Greci, dalla testa nimbata, con il volto ieratico e la posa benedicente. Sul fondale della prima navata destra trovasi un’acquasantiera incassata a muro, incorniciata con decorazioni a racemi settecenteschi e sormontata da un cartiglio, la cui iscrizione rammenta il legame un tempo esistente con il santuario michaelico del Gargano. La seconda navata destra termina con l’altare barocco in pietra policroma dedicato al santo eponimo della chiesa, la cui effigie seicentesca tra i Santi Leonardo e Lorenzo è ben visibile nel registro in alto. Lungo le pareti laterali trovano posto, invece, le immagini di Tobia e l’Angelo Gabriele a sinistra, e di San Dioniso l’Areopagita a destra, databili tra fine cinque e inizio seicento. Segue l’altare maggiore in tufo, il cui paliotto è sormontato centralmente da una croce radiata ed è fiancheggiato da ampie volute. Nell’abside sovrastante notevole è il dipinto con la Deesis, in cui predomina l’immagine di Cristo benedicente con ai lati la Vergine e San Giovanni Battista, eseguito da anonimo frescante nei primi decenni del 1300. Infine, la prima navata sinistra termina anch’essa con un pregevole altare barocco in pietra, nella cui alzata prospettica era posta la statua di Santa Lucia, ora conservata presso il museo dell’A.B.M.C.
LE PORTE E LE PIAZZE
Ubicate in corrispondenza dei quattro punti cardinali, le porte di accesso all’acropoli erano poste lungo la circonferenza del circuito murario risalente all’ età classica, poi fortificato in età medievale. Seguendo in senso orario il percorso della cinta muraria da Nord ad Ovest, si incontra la porta oggi meglio conservata (delle restanti porte, invece, non rimane nulla se non il varco di accesso): Porta Bari, a Nord, si presenta con un prospetto in stile barocco (1600), in cui sono inserite le statue, realizzate in mazzaro, dei santi protettori della città, S. Irene e S. Giuseppe, e sulla cui sommità vi è un ostensorio, segno di devozione al SS. Sacramento (XX secolo). Si affaccia su piazza Unità d’Italia, su cui campeggia una colonna con la statua della Madonna del Buoncammino.
Risaldendo su per l’estramurale si incontra la Porta dei Martiri. È comunemente detta la “Purtecedde”. Immette direttamente nella pizzetta omonima, attraverso l’arco, tutt’oggi presente, denominato anch’esso Arco dei Martiri. Era una delle porte secondarie, le cosiddette “Porte Piccole”, che in genere erano poste tra due porte maggiori. Tale accesso, infatti, si trova proprio tra Porta Graecorum, a Nord, e Porta delle Fosse, a Est. Fu edificata nel XIII secolo e con il tempo subì varie manomissioni, perdendo l’aspetto difensivo e trasformandosi in un semplice arco in pietra, sormontato da costruzioni di privati, che vi aprirono porte e finestre. Oggi, infatti, è possibile distinguere il portale a bugnato e l’arco a profondo fornice. A ridosso dell’arco si conserva un pezzo delle fortificazioni costruite durante la dominazione aragonese, come rifacimento delle vecchie mura costruite da Sparano da Bari.
Proseguendo, è collocata Porta Foggiali (non più esistente), il cui toponimo deriva dalle fogge o fovee che si trovano sotto l’omonima piazza attigua: si tratta di grandi cavità sotterranee, scavate nel banco calcareo, destinate alla conservazione dei cereali. A Sud, si trova Porta Matera (non più esistente), ricordata nella lapide ivi apposta, come la porta da cui fece irruzione l’esercito sanfedista capeggiato dal card. Ruffo nel 1799, motivo per cui la piazza su cui si affaccia, è detta piazza della Resistenza, a ricordo dell’eroica resistenza degli altamurani contro i sanfedisti. Infine, ad Ovest, è collocata Porta Santa Teresa, in posizione frontale rispetto alla chiesa omonima, da cui gli altamurani fuggirono verso le campagne limitrofe, durante l’assedio dei sanfedisti nel 1799.
Nel mezzo dell’asse viario Matera-Bari, l’attuale corso Federico II di Svevia, vi è la piazza principale: cuore religioso, sociale ed economico della città, piazza Duomo, detta anche Platea rerum venalium, un tempo a pianta quadrata, con porticato, in cui erano ospitate diverse botteghe, era luogo di residenza di alcune prestigiose famiglie di origine sia latina che greca, e su di essa si impianta la maestosa Cattedrale.
Tra le altre piazze del centro storico: piazza Matteotti, chiamata in passato piazza Castello perché sede dell’antico castello, di probabile epoca normanna, abbattuto nel secolo scorso e fino a qualche anno fa sede del più grande e tradizionale mercato ortofrutticolo della città; Piazza Municipio, presso cui si erge il Palazzo di città, un tempo sede del Convento di S. Francesco (1400); piazza Zanardelli, grande piazza alberata che si estende dalla Parrocchia della Consolazione alla chiesa di San Domenico. Contiene il Monumento ai Caduti della Prima Guerra Mondiale ed occupa parte dell’antico Planicio Sancti Marcii. Viene chiamata “villetta” per distinguerla dalla più grande Villa Comunale. Piazza Madonna dei Martiri, con la omonima chiesetta duecentesca di rito greco al suo cospetto, rappresentò uno dei luoghi cardine dell’antico tessuto urbano; piazza Don Minzoni, chiamata in passato Piazza Foggiali, antica piazza delle Fogge (o Fosse) situata nel centro storico, alla confluenza di via S. Caterina, via Già Corte d’Appello e via Matteo Cristiano. Costituiva il centro economico del borgo antico, in quanto nelle Fosse si conservavano le derrate alimentari per la città; nei pressi vi era l’edificio dell’antico Dazio.
Piazza San Giovanni, alle spalle della Cattedrale, nel cui mezzo vi era, un tempo, una chiesetta dedicata al culto greco. Altrettanto importanti, anche se fuori dal circuito murario dell’antica acropoli, è piazza Resistenza, chiamata così perché ricorda il luogo in cui l’esercito guidato dal cardinale Ruffo pose l’assedio alla città nel 1799. Sulla piazza si affaccia Porta Matera (non più esistente), una delle principali vie d’accesso al borgo antico. Nel XIII secolo tutto il pianoro fuori la porta prendeva il nome di “planitio Sancti Marci” dalla cappella di San Marco extra moenia.
Nel Planitio sorsero altre chiese, come l’Annunziata, Santa Maria di Loreto, San Vito poi chiamata Consolazione e i due conventi di Sant’Antonio e di San Rocco. In esso si svolgeva una fiera, che divenne famosa e per molti anni fu frequentata dai mercanti di tutte le aee del Regno di Napoli. La rilevanza della fiera è testimoniata da molti documenti storici. La fiera, nei periodi successivi, venne molto trascurata, perdendo la sua importanza. Piazza Mercadante è adiacente all’omonimo teatro, su cui sorge un monumento con il busto del grande musicista, opera di Zocchi.
I CLAUSTRI
Derivanti dal termine latino claustrum (spazio chiuso), in dialetto locale anche gnostre, i claustri costituiscono un elemento di unicità grazie alla loro storia e all’originalità architettonica. Rappresentano la simbiosi di varie etnie, chiamate ad Altamura dall’imperatore Federico II di Svevia nel 1232 con l’intento di ripopolare la città, concedendo esenzioni fiscali: greci, latini, ebrei, arabi. Testimonianza architettonica, dunque, della coesistenza pacifica di diverse comunità religiose, i claustri si presentano come piazzette, più o meno ampie, delimitate dalle abitazioni che vi si affacciano, che si aprono sulle vie principali del centro storico: da un vicolo stretto si accede al cortile, lievemente inclinato verso l’interno per la raccolta delle acque piovane- ospitano, infatti, al loro interno cisterne da cui le varie famiglie potevano, in passato, attingere acqua. Si contraddistinguono per la presenza di alcuni particolari elementi architettonici, anche se con qualche variante: scale, archi, balconate, logge, ballatoi, finestrini, terrazzini, anelli di pietra, “pesule”, e sono arricchiti da elementi ornamentali scolpiti nel tufo: mascheroni, stemmi, figure votive. La funzione svolta da questi particolari spazi del tessuto urbanistico di Altamura era principalmente di aggregazione di varie famiglie, ma anche difensiva- motivo per cui i claustri hanno una sola entrata. Tra gli oltre 80 claustri in cui è articolato il centro antico della città, alcuni sono particolarmente degni di nota.
Il claustro della Giudecca, collocato su Via S. Lucia, da Giuda, uno dei figli di Giacobbe che si stabilì nella regione della Giudea, è il più singolare per impianto planimetrico, costituito da una piazza ramificata: visto dall’alto, infatti, ricorda la Menorah ebraica (candelabro con tre bracci, corrispondenti a tre piccoli vicoli ciechi che si dipartono dalla piazzetta centrale). Il toponimo ricorda che questo claustro era abitato dalla comunità ebraica, una delle etnie più presenti e vive in Puglia sin dal IX secolo, dedita principalmente al commercio; all’ingresso dello stesso, in alto, una piccola cariatide denominata Sinagoga- posta lì quasi a protezione degli abitanti del claustro, dà il benvenuto a chi vi entra.
Tra gli altri, degni di una visita sono: claustro Tradimento, ubicato su Via G. Falconi, di media dimensione, il cui toponimo rimanda alla leggenda del presunto “tradimento” di alcuni altamurani che avrebbe fatto capitolare la città nel 1799, ritornando nuovamente sotto la monarchia dei Borboni, è caratterizzato da sculture a basso rilievo poste sulle pareti di un’abitazione (mascheroni apotropaici, fiori e conchiglie);
claustro Tricarico, in via S. Lucia, che prende il nome dal proprietario del palazzo ubicato all’interno dello stesso, professore di medicina presso l’Università degli studi di Altamura (metà XVIII secolo), presenta nella corte interna, oltre al pozzo d’acqua sorgente, anche i resti di una macina antica, usata per la lavorazione dei cereali;
claustro dei Mori, situato su via G. Santini, dedicato al gruppo etnico dei Mori o Saraceni, che l’abitarono fino all’arrivo di Longobardi e Normanni, si sviluppa al di sotto del piano di calpestio: vi si accede, infatti, scendendo una gradinata;
claustro Altieri, in via M. Continisio, dedicato allo scultore locale Giuseppe Nicola Altieri (fine XVI secolo), fine esperto nella lavorazione del legno, è ricordato anche con il toponimo dei “pupi”, riferimento palese all’esistenza di botteghe di artigiani in loco; claustro fratelli Salvatore, in via Laudati, presenta al centro un’antica cisterna d’acqua piovana di uso comun, è abbellito da archi e da una bella statua della Madonna con bambino, posta in un’edicola votiva; claustro Antodaro, in via Santa Chiara,a piano terra vi è un piccolo porticato delimitato da una colonna con capitello romanico. Su una finestra del primo piano si scorge una epigrafe latina e sulla parete destra spicca il bassorilievo di un mascherone. Fu abitato per lo più da sacerdoti e si tramanda che fu un ricovero per anziani.
PALAZZI STORICI
PALAZZO VITI – DE ANGELIS
È forse il palazzo più antico di Altamura, sicuramente tra i più belli. Costruito probabilmente nel Quattrocento dal feudatario principe Raimondello Orsini del Balzo, su una fabbrica già esistente, è adiacente alle mura medievali, inglobato sulla Porta Bari. Si sviluppa su tre piani, occupando un intero isolato. Sontuoso è il portale rinascimentale che si affaccia su corso Federico II. Splendido il cortile interno, impreziosito da una scala d’onore e la cappella del palazzo. Il pavimento è lastricato in pietra calcarea (chianche) e finisce con una torretta merlata in falso stile gotico. Di pregio è il loggiato rinascimentale con eleganti colonnine e capitelli. Su un capitello è presente lo stemma dei De Angelis, la casata che acquisì il palazzo subito dopo i Del Balzo e prima dei Viti, che ancora lo posseggono.
PALAZZO MELODIA
Si affaccia in piazza Duomo, di fronte all’entrata principale della Cattedrale. Fu edificato a metà dell’Ottocento, su progetto dell’ing. Orazio Lerario. Palazzo Melodia è un edificio in puro stile neoclassico. Il piano inferiore è impegnato da 20 alte colonne, che sostengono un ampio balcone con 10 finestroni. Da sempre proprietà della nobile famiglia Melodia, fu acquistato interamente nei primi anni del ‘900 dall’agricoltore Giuseppe Incampo.
CASA NATALE DI SAVERIO MERCADANTE
Poco rilevante dal punto di vista architettonico, è il palazzo dove nacque, nel 1795, il famoso Saverio Mercadante, tra i più grandi musicisti italiani dell’Ottocento. Si affaccia su Corso Federico II, di fronte alla chiesa di San Nicola dei Greci.
PALAZZO BALDASSARRE
È situato su via fratelli Baldassarre, nei pressi di Piazza Foggiali. Si tratta di un edificio quattrocentesco, a tre piani, quasi completamente rimaneggiato nel Seicento. Capolavoro dell’arte edilizia del tempo, presenta particolari di alto valore architettonico, come il balcone in ferro battuto in stile barocco. Appartenne alla famiglia di mastri muratori Baldassarre, divenuti nel tempo tra i più importanti costruttori della città. Si ricordano, in particolare, i fratelli Michele e Giuseppe che svolsero un ruolo importante durante l’assedio delle truppe del Cardinale Ruffo, nel 1799. Fu fa un fondo di Michele, in quell’anno, che fu sradicato l’albero della libertà apposto in Piazza Duomo, simbolo della Repubblica Partenopea.
PALAZZO CASTELLI
Fu eretto fra il XVI e XVII secolo in forme rinascimentali dalla nobile famiglia Castelli, una delle più antiche della città. Si presenta intatto nella sua grandiosità, occupando uno spazio di notevoli dimensioni. Adiacente al palazzo è la chiesetta cinquecentesca di Santa Maria della Vittoria, cappella privata della famiglia Castelli.
PALAZZO FILO
Fatto edificare dai conti Filo- una tra le famiglie nobili più antiche e prestigiose della città- tra XVI e XVIII secolo, a ridosso delle mura della città, conteneva una cappella dedicata a S. Filone martire, un santo orientale venerato dalle famiglie di origine greca- tra cui i Filo, appunto-, con due accessi, uno sulla strada per il pubblico, l’altro nel cortile interno per la famiglia. Ricordato tra gli edifici più interessanti del centro storico, il palazzo Filo conserva ancora la sua struttura originaria: due piani superiori, un pianterreno e un cortile interno, imponendosi per i suoi tre ordini spartiti orizzontalmente da cornici e per il rivestimento a piccole bugne squadrate che crea un notevole effetto chiaroscurale. Degno di nota è lo splendido portale centinato, inscritto tra due semicolonne che reggono un frontone spezzato, in cui sono inseriti la finestra superiore e lo stemma in chiave (stella crinita a sedici punte, insegna degli Orsini del Balzo- quando furono principi di Altamura concessero ai Filo di fregiarsi dello stemma del loro simbolico araldico-). Molto rimaneggiato specie negli interni, il palazzo Filo si appoggia al palazzo Sabini, cui per un certo tempo fu unito, per essere poi nuovamente smembrato. Nel 1799 divenne sede del Comando della Repubblica. Tra i personaggi che hanno dato lustro al casato si ricordano: Pasquale Filo, elogiato dal Re Ferdinando I d’Aragona nel 1514; Roberto Antonio Filo, vescovo in Calabria; Bisanzio Filo, vescovo di Oppido e di Ostuni nel 1698.
PALAZZO CALDERONI - MARTINI
Ubicato quasi al centro di corso Federico II di Svevia, in posizione frontale rispetto al Palazzo Prelatizio, e adiacente alla piccola chiesa di S. Michele, il palazzo Calderoni-Martini apparteneva un tempo ai duchi di Sanarica, la nobile famiglia dei Martini, imparentata con altri illustri casati di Altamura, i Filo e i Sabini- lo dimostrano gli stemmi e le lapidi marmoree apposte sulla facciata-. Risalente al XVI-XVII secolo, l’edificio signorile, dalle linee e dalle decorazioni nobilissime, si mostra nella sua forte struttura: si affaccia su Corso Federico II di Svevia con un portale in ferro ed alcuni locali al piano terra; al piano superiore, si apre poi con una grande loggia a balaustra scolpita, con volte ad arco incassato, e con varie finestre, anch’esse balaustrate, ai diversi piani. Sul resto della facciata, sono degne di menzione due lastre in marmo, di cui, la più grande, ricorda il giovane Conte Guido Sabini, morto durante la prima guerra mondiale. L’ingresso principale, collocato nella via laterale di S. Michele, si presenta con un grande ma semplice portone, e ospita al suo interno un’artistica scala, dall’impostazione molto originale. Legato alla figura del fuggiasco Michele Martini, uomo dotto di legge, filo borbonico, diventato poi grande fautore del governo repubblicano in Altamura nel 1799, il Palazzo Calderoni-Martini passò in eredità ai Sabini, che lo ressero fino al 1989, per poi venderlo a costruttori che l’hanno recentemente restaurato.
PALAZZO VESCOVILE (GIA’ SEDE DELL’UNIVERSITA’)
Addossato all’Arco del Duomo, lungo Corso Federico II di Svevia, è il palazzo vescovile, già Palazzo dell’Università. Come attesta una lapide affissa sul muro, la Regia Università fu fondata nel1748 con decreto del Re Carlo III, e diventò subito un florido centro culturale, tanto da consentirle l’appellativo di “Appula Atene”. L’Università fu mantenuta dal fondo del Monte a Moltiplico (rendite ecclesiastiche e risparmi delle confraternite laiche) istituito nel 1619 per erigere il Vescovato, mai effettuato, e utilizzato, quindi, per l’Università come Monte delle scuole. L’Università seguì, con la Rivoluzione del 1799, le infauste sorti della città. Nel 1811, dopo il breve periodo di Goacchino Murat, il Regio Studio fu chiuso.
PALAZZO DE LAURENTIS
Si trova all’interno del claustro omonimo, lungo via Matteo Cristiano, non lontano dal palazzo Castelli. Il claustro è intitolato al liberale e cospiratore Luigi, che prese parte alla resistenza del 1799. Perseguitato dai Borboni andò fuggiasco, ma nel 1860 fu a capo del Comitato insurrezionale e del Governo costituito. Il palzzo omonimo conserva sull’architrave della porta di ingresso una scultura in pietra, in funzione di difesa e di custodia dell’abitazione.
PALAZZO GRIFFI
Sorge nella via omonima ed è una grande struttura del Seicento, costruita dai nobili Griffi originari della città di Ruvo. L’ingresso principale è nella piazzetta antistante la chiesa della S.S. Trinità. Il portale ad arco presenta decorazioni floreali, scolpite nella pietra, ed il viso di un cherubino. Al di sopra è posto lo stemma del Casato Griffi raffigurante un ippogrifo alato, un animale mitologico metà cavallo e metà uccello. Oggi il palazzo restaurato è abitato da altre famiglie altamurane.
PALAZZO PONZETTI - PERSIO
Si tratta di una struttura settecentesca, appartenuta al casato dei Persio. Un suo rappresentante, il novantenne Orazio, fu vittima infelice dei sanfesisti nel 1799. Oggi il palazzo è di proprietà della famiglia Ponzetti. Notevole è il portale con decorazioni scolpite a mano e colonne in pietra.
PALAZZO SERENA
Reca sul portale del balcone centrale lo stemma del casato, a forma di scudo, sormontato da una corona baronale. Gli emblemi dello stemma sono rappresentati da tre stelle in capo, una fascia centrale con tre croci e in punta una Sirena. La famiglia ha antichissime origini romane e si diramò a Foggia e ad Altamura. Nel secolo XVI fu decorata della “Regia Familiarità” e annoverata tra le famiglie patrizie altamurane. Ai fratelli Serena,che si distinsero nei giorni del 1799 è dedicata la strada che circonda l’edificio. Da ricordare è il poeta, scrittore, senatore, ministro e uomo politico, Ottavio Serena, nato qui nel 1837 e deceduto a Roma nel 1914.
PALAZZO CASTALLI –PADRONE –CAPUTO
Elegante palazzo neoclassico ubicato nei pressi della cattedrale, risale, nelle sue attuali sembianze, all’Ottocento.
PALAZZO CORRADI – TERZETTI – MARSICO
Fu costruito nel 1594, così come ricordato dalla data scolpita nello stemma centrale della facciata. Nelle sue cantine, nel 1799, sarebbe avvenuto un atto di eroismo delle donne altamurane che, barricatesi in casa, sarebbero riuscite a catturate e rinchiudere in quella cantina, molti adepti del cardinale Ruffo.
PALAZZO DE GEMMIS - CAGNAZZI
Splendida la facciata principale, di stile settecentesco, con ingresso a colonne e lo stemma del casato in alto. La costruzione era la residenza della famiglia Cagnazzi, discendente da Samuele de Samuele (seniore), nobile greco del regno di Macedonia, traferitosi ad Altamura nel 1554. Nel 1628 un certo Marino Cagnazzi donò a Samuele de Samuele (iuniore) tutti i suoi beni a condizione che lo assistesse fino alla vecchiaia, che aggiungesse il simbolo del “cane” allo stemma gentilizio e assumesse come secondo nome Cagnazzi (De Samuele Cagnazzi). Chi ha dato lustro al Palazzo sono i due fratelli Luca e Giuseppe De Samuele, grandi rappresentanti della nobiltà altamurana di fine Settecento. Giuseppe de Samuele, fratello del detto arcidiacono Luca, sposò del 1785 Elisabetta De Gemmis e lasciò in eredità al figlio Ippolito il titolo di nobile “ab immemorabilis” e la proprietà del palazzo. Gli eredi di Ippolito (sposato con Antonietta Martucci) abitarono il palazzo per tutto l’800, fino a quando gli eredi attuali Raiola-Pescarini, imparentati con i Cagnazzi, vivendo a Roma e a Napoli, lo hanno venduto alla famiglia Clemente. Oggi il palazzo è sede dell’ Hotel San Nicola.Sulla facciata principale al primo piano è stato riposto lo stemma del casato comprendente i simboli gentilizi dei Cagnazzi e delle famiglie imparentate dei Nesti, De Gemmis e Lioy. Nell’atrio a sinistra una lapide riporta nell’iscrizione che il patrizio Michele De Gemmis nel 1829 poneva per conto della figlia Cecilia a ricordo della chiesa di Sant’Augustinello, fondata dai Flumaro e passata ala famiglia Corcoli prima e De Gemmis poi. All’interno del palazzo sulle volte delle stanze sono stati restaurati gli stemmi delle famiglie Nesti e Martucci. I due piani superiori sono stati trasformati in lussuose stanze d’albergo. La scalinata è impreziosita da un reperto in pietra raffigurante S. Nicola da cui l’albergo prende il nome.
PALAZZO MUNICIPALE
Ubicato in piazza Municipio, ospita gli uffici comunali. Dal 1888, anno della demolizione del preesistente convento di San Francesco, il palazzo conserva lo stesso prospetto e assolve alle stesse funzioni politiche ed amministrative. Dell’antica chiesa e del complesso monastico, fatti edificare nel Quattrocento da Raimondello Orsini del Balzo, è conservata una rappresentazione grafica nell’Episcopio di Matera ed una seconda nella veduta di Altamura, in un quadro dell’Orlandi del XVIII secolo.
PALAZZO SABINI
Ubicato in piazza Unità d’Italia, è un bell’esempio di dimora signorile del XX secolo. Edificato nel 1902 in forme neoclassiche, conserva al suo interno una bella scalinata in pietra.
PALAZZO VITI – LOIUDICE
Fu costruito nel XVII secolo e utilizzato nell’800 come sede del tribunale istituito da Giuseppe Bonaparte con decreto del maggio 1808. La storia racconta che il Re, dopo una visita ad Altamura, devastata dagli avvenimenti del 1799, scelse la città a capoluogo del distretto di Tribunale di Giustizia per le province di Bari, Otranto e di Basilicata. La corte ebbe vita breve: fu inaugurata nel 1809 e trasferita nel palazzo offerto dal Conte Viti, dove restò fino al 1817, anno in cui i Borboni, tornati al governo, ne determinarono la soppressione. Oggi l’edificio appartiene alla famiglia Loiudice e conserva la sua dignità artistica nel bellissimo loggiato con gli stemmi della famiglia Viti.
PERSONALITA' LEGATE AD ALTAMURA
SAVERIO MERCADANTE
Giuseppe Saverio Raffaele Mercadante è uno dei più importanti musicisti italiani dell’Ottocento. Nacque nel 1795 ad Altamura e sin dalla giovane età iniziò i suoi studi a Napoli. L’esordio avvenne nel 1818; venne, infatti, incaricato di scrivere dei balli per il Teatro San Carlo. Riscosse grande successo soprattutto in Spagna, Portogallo e Austria. Amico di Gioacchino Rossini, nel 1837 ottiene un grandissimo successo con Il Giuramento, uno dei suoi capolavori. Nel 1862 perde la vista. Muore nel 1870. La sua produzione operistica è molto ampia. Nel 1895, a cento anni dalla sua nascita, gli altamurani inaugurano un nuovo teatro a lui dedicato. Nel 2013, dopo anni di abbandono, il teatro Mercadante è tornato a risplendere grazie all’intervento della Teatro Mercadante srl che, dopo un certosino e impegnativo restauro, lo ha restituito alla città.
LUCA DE SAMUELE CAGNAZZI
Storico, matematico, economista, scienziato, nato ad Altamura nel 1764, condusse i suoi studi prima presso l’Università degli studi della sua città natale, successivamente presso quella di Napoli, dove si laureò. Menzionato nel novero degli uomini altamurani più illustri, fu uno dei più forti enciclopedisti del suo tempo, ma anche lirico e metafisico, geologo ed archeologo, teologo e botanico, nonché creatore, in Italia, della moderna scienza statistica. Insegnò dapprima presso l’Università di Firenze, in un secondo momento (1806-1821) in quella di Napoli. Inventò il tonografo, strumento utilizzato per lo studio delle vibrazioni del suono, la cui copia è attualmente conservata presso l’Archivio Biblioteca Museo Civico di Altamura. Finito sotto processo, morì a Napoli il 26 settembre 1852. Una delle sue opere pubbliche più importanti fu Leges in Cattolica Ecclesia vigentes apto ordine digestae. All’arcidiacono Luca de Samuele Cagnazzi è intitolato il Liceo Classico. Lo splendido palazzo Cagnazzi, ubicato nei pressi della chiesa di San Nicola dei Greci, è oggi sede di una struttura alberghiera.
TOMMASO FIORE
Nato ad Altamura nel 1884, è stato uno dei più importanti meridionalisti italiani. Da strenuo socialista, si occupò costantemente della condizione dei braccianti del Mezzogiorno. Nel 1920 fu sindaco di Altamura e a causa del suo forte antifascismo, nel 1942, fu incarcerato. Amico e collaboratore di Pietro Nenni, Piero Gobetti e Carlo Rosselli, fu uno dei più stimati intellettuali del periodo. Si spense a Bari nel 1973. La sua casa natale è ubicata in claustro Cinfio.
RAFFAELE E TINA LAUDATI
Rispettivamente padre (Napoli, 1864-1941) e figlia (Altamura, 1910-2000), rappresentano due dei più illustri pittori nel panorama artistico nazionale ed internazionale. Raffaele, discendente da un’antica famiglia nobile di Altamura, tornò nella città dei suoi avi all’età di 14 anni, e successivamente, alla morte del padre, si trasferì a Napoli per completare gli studi, manifestando da subito grande passione per la pittura. Cominciò con il disegno, trasferitosi a Parigi, esercitando il suo estro nella caricatura; collaborò, infatti, con “La caricatura” e il “Charivari”. Risedette a Londra per una paio d’anni, ma rientrò in Italia dove studiò pittura col Morelli e fu iniziato al divisionismo da Previati e Segantini. Considerato uno dei più importanti pittori pugliesi tra XIX e XX secolo, è ricordato come maestro indiscusso della rappresentazione della luce. Fu autore di numerose opere: I derelitti, Donna che si sveste, Autoritratto (1926), Le maquis de vieux Montmartre (1928). Tina Laudati, guidata nella sua formazione pittorica in primis dal padre Raffaele, e dalla cultura della metropoli parigina, presso cui studiò, aderì all’impressionismo che si accentuò notevolmente al suo ritorno ad Altamura, in seguito al contatto col mondo popolare pugliese. L’artista ha rappresentato la realtà altamurana, sintetizzando una grande varietà di soggetti tratti dal vero. Il suo trasferimento a Napoli segnò l’abbandono dell’estetica impressionista per una maggiore attenzione alla grafica. Nel 1975, col suo definitivo rientro nella città natale, si dedicò alle nature morte e ai paesaggi murgiani, opere in cui è ancora notevole la volontà di rappresentare la luce. Tra le opere: la madre e il fanciullo (1938), attesa (1987), ritratto di donna con cappello, veduta cittadina, autoritratto. Dopo la prima esposizione delle tele di Raffaele e Tina Laudati nel 2009, presso il Palazzo di città, l’allestimento definitivo delle stesse tele è ora presente presso la pinacoteca dell’Archivio Biblioteca Museo Civico.
OTTAVIO SERENA
Nato ad Altamura nel 1837 da nobile famiglia, ricoprì, tra le altre, nel 1860 la carica di segretario del Governo provvisorio a Bari, quella di segretario del Ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis, di sindaco di Altamura, consigliere e deputato provinciale, prefetto di Pavia, regio commissario al Municipio di Napoli, senatore del Regno, consigliere di Stato. Fu uno dei promotori e degli artefici della realizzazione dell’Acquedotto Pugliese. Ma la sua notorietà è legata, soprattutto, agli studi storici condotti sulla sua città natale. Si spense nel 1914.
PIETRO ORESTE
Pietro Oreste nacque ad Altamura il 3 gennaio 1839. Dopo aver compiuto i primi studi, a soli quattordici anni entrò in seguito a concorso (nel quale risultò primo) nel collegio Veterinario di Napoli dove conseguì il Diploma in Scienze Veterinarie e Agricoltura a soli diciotto anni, e divenne così medico e veterinario. Partecipò ai moti liberali del 1848 e dopo l’unificazione italiana divenne “Aiuto” alla cattedra di Clinica medica e Anatomia patologica nella Scuola Veterinaria di Napoli fino al 1867,poi titolare della cattedra di Zooiatria a Pisa. Nel 1875 gli fu conferito l’incarico di riordinare la Scuola Veterinaria di Napoli e ottenne la nomina di docente titolare di Patologia Clinica Medica presso l’Università della stessa città. Pubblicò numerose opere sui risultati delle sue ricerche, tra cui quelle sulla vaccinazione anticarbonchiosa e sul vaiolo enzootico dei bufali, il «Trattato delle malattie infettive degli animali domestici», e “semiotica ossia guida al diagnostico delle malattie interne degli animali domestici” scritto con la collaborazione di Giuseppe Marcone, suo allievo prediletto, pubblicato durante gli anni 1887-1899, che ancor oggi è ritenuta una delle migliori opere della letteratura veterinaria italiana. Si spense a Napoli il 9 settembre 1934.
MICHELE CONTINISIO
Poeta, storico e letterato, nacque ad Altamura il 4 giugno 1722. Fu membro dell’Arcadia Reale di Napoli e godette dei favori del re di Napoli, Gioacchino Murat, che lo nominò cavaliere e lo colmò di favori. Divenuto sacerdote, rivelò tendenze accorte e divenne Primicerio della chiesa di San Niccolò dei Greci di Altamura e nel 1777 nominato Vescovo di Giovinazzo e Terlizzi. Morì a Giovinazzo il 9 maggio 1810. Le opere che ci ha lasciato sono ricordate, non tanto per il loro contenuto, quanto per la tecnica con cui sono state scritte.
LEONARDO LORUSSO
Leonardo Lorusso è nato ad Altamura il 16 maggio 1907 da una famiglia di imprenditori agricoli e banchieri. Suo padre, infatti, era stato fondatore della banca Sabini-Lorusso. Trasferitosi a Bari da giovanissimo si distinse durante la guerra per aver preso parte agli eventi bellici nei Balcani. Nel 1952 dal suocero prende le redini della società Saicaf s.p.a., “il caffè dei baresi”, fondata 20 anni prima. Oggi la Saicaf, sicuramente anche grazie al suo contributo, è la quinta azienda a livello nazionale per volumi di vendita, ed esporta il suo caffè in tutto il mondo. L’ intensa attività economica e sociale gli fu riconosciuta dalle autorità sia italiane che internazionali: fu nominato Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e Console del Belgio per la Puglia dal Re Baldovino I nel 1967. Si spense a Bari l’11 agosto 1996.
DOMENICO MAFFEI
Domenico Maffei è nato ad Altamura il 26 settembre 1925, ancora oggi è uno dei più importanti storici del diritto della nostra penisola. Laureatosi in Giurisprudenza nel 1947 presso l’Università di Siena, proseguì i suoi studi presso la Harvard University conseguendo il Master of Laws nel 1952 attraverso il quale si è fatto apprezzare nella comunità internazionale degli studiosi di storia e diritto. Tra il 1953 e il 1954 i suoi interessi si rivolgono principalmente verso temi di diritto comparato, commerciale e di diritto bancario e dell’economia. Dal 1956 in poi comincia a precisarsi la sua vocazione storiografica che dà vita ad un numero considerevole di scritti. L’Università degli Studi di Perugia, nell’ambito delle iniziative per il VII Centenario di fondazione dell’Ateneo, gli ha conferito nel 2006 la laurea honoris causa in Giurisprudenza. Socio di molte accademie nazionali ed internazionali, ha insegnato per lungo tempo Storia del diritto italiano all’Università «La Sapienza» di Roma.
GIUSEPPE GIANNUZZI
Giuseppe Giannuzzi nacque ad Altamura il 16 marzo 1838. È stato un importante fisiologo italiano. Condusse a termine i suoi studi preuniversitari primari e secondari presso il locale Seminario e Collegio Cagnazzi. All’età di diciannove anni, lascia il Seminario e dopo una breve permanenza a Napoli si trasferì all’Università Pisa dove, a 24 anni, nel 1862, si laureò. Sicuramente divenne assegnatario di una borsa di studio per l’estero conseguendo il duplice scopo di perfezionarsi in francese e di apprendere le più aggiornate tecniche fisiologiche. A Parigi fu alla scuola del parigino Claude Bernard, uno dei maggiori fisiologi del tempo. Vi rimase fino al 1863, quando si trasferì prima a Berlino alla scuola di Rudolf Virchow, il creatore della patologia cellulare e successivamente a Lipsia dove condusse ricerche nei laboratori di scienziati come Willy Kühne e Karl Ludwig. Le sue ricerche cessano nel 1875, altre saranno come lui stesso le definirà, esposizioni preliminari. Si spense a Siena l’8 marzo 187
VINCENZO LAVIGNA
Compositore e concertatore, nato ad Altamura il 21 febbraio 1776, da Ludovico Lavigna e Apollonia Carone. Iniziò i suoi studi di musica a dodici anni al Santa Maria di Loreto di Napoli. Nel 1797 fu dichiarato maestro di cappella e nel 1799 si rivolse, per ottenere un aiuto, al maestro Paisiello che, portatolo con sé a Milano, lo presentò all’impresario del Teatro alla Scala, Ricci, con il quale Lavigna cominciò a collaborare. Nel 1823 fu nominato professore di solfeggio, succedendo a Ferdinando Orlandi, presso il Conservatorio di Milano per alunne e dal 1832 al 1834 insegnò contrappunto e composizione a Giuseppe Verdi, dopo l’esclusione del giovane dallo stesso conservatorio musicale, dandogli lezioni private per molti anni. Il Lavigna non compose opere solamente per il teatro, ma a lui si devono anche lavori per orchestra, per organo e per canto. Morì a Milano il 14 settembre 1836.
ANGELO IGNANNINO
Angelo Ingannino è nato ad Altamura nel 1475, è certamente il più antico o uno dei più antichi compositori di madrigali, Angelo appartenne all’ordine dei Domenicani della chiesa di San Rocco di Altamura, fu insegnante e Maestro di Cappella nei principali conventi domenicani d’Italia tra cui Roma, Napoli e Venezia. Di lui si hanno poche e frammentarie notizie e finora non ci è giunto alcun documento musicale manoscritto o edito. Il primo a darne notizia è Padre Ambrogio del Giudice di Altamura, vissuto circa un secolo dopo, nel Seicento, appartenente allo stesso ordine, e nel suo libro “Bibliotecae Dominicanae”, ci informa che Angelo Ignannino fu un valente e apprezzato compositore di musica religiosa e liturgica, nonché di composizioni profane, quali madrigali a tre, quattro, cinque e sei voci. Anche sul luogo della sua morte non si hanno notizie certe, alcuni sostengono che sia avvenuta a Roma altri a Venezia nel 1543.
GIACOMO TRITTO
Musicista, nacque ad Altamura il 2 aprile 1733. Studiò contrappunto al Conservatorio della Pietà dei Turchini di Napoli, dove ebbe come insegnante il celebre maestro Cafaro al quale successe nella direzione del Teatro San Carlo. Nel dicembre del 1806, dopo l’unificazione di tutti i conservatori napoletani, entrò nella direzione del Real Collegio di Musica assieme a Giovanni Paisiello e Fedele Fenaroli. Nonostante la sua attività operistica fosse terminata nel 1810, continuò a scrivere composizioni sacre fino alla morte. Morì a Napoli il 16 settembre 1824.
FRANCESCO SANTORO PASSARELLI
Francesco Santoro PassaRelli è nato ad Altamura il 19 luglio 1902. Conseguita la laurea in Giurisprudenza, nel 1928 gli fu affidata la cattedra di Diritto civile presso l’Università di Urbino e successivamente ne divenne titolare anche nelle Università di Catania, Padova e Napoli. Nella sua vita ha fatto parte di numerose istituzioni: Accademico dei Lincei, socio ordinario della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed arti di Napoli, dell’Accademia patavina e di altri analoghi enti, fu insignito della medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte e fu presidente dell’Unione Giuristi Cattolici oltre che Direttore della rivista «Justitia». Dal 1960 al 1972 rivestì, anche, la carica di presidente dell’I.N.A. E’ morto a Roma il 4 novembre 1995.
FRANCESCO MARIA PONZETTI
E’ nato ad Altamura il 18 marzo 1910. Conseguita la laurea in Giurisprudenza, divenne per otto anni archivista di stato, distinguendosi per alcuni importanti lavori sui documenti altamurani e sull’ordinamento dell’archivio antico dell’Università di Roma, ma le sue aspirazioni miravano altrove. Dal 1943 al 1975 ha percorso la carriera prefettizia, da Consigliere a Prefetto, dedicando parte del suo tempo libero alla ricerca storica e archeologica. Effettuò alcuni scavi, con risultati di rilievo, nel territorio di Altamura, portando alla luce numerosi reperti, alcuni di grande valore. Si spense a Roma il 22 luglio 1994.